Lo scorso 4 ottobre, sotto l’antica volta del Santuario della Madonna delle Lacrime

Laudato si’, mi’ Signore

Precedute dalla commemorazione del Transito di san Francesco – particolarmente curata dal terzo Ordine secolare che si riunisce frequentemente in Dongo, Transito che, come noto, è avvenuto il giorno 3 ottobre 1226, quando il Poverello di Assisi morì, nudo sulla nuda terra del transito, semplice vano della infermeria della Porziuncola di Assisi – il giorno 4 ottobre, nel  Santuario della Madonna delle Lacrime di Dongo, sono ancora una volta risuonate, sotto l’antica volta della chiesa, le laudi del meraviglioso Cantico delle Creature, lodi a Dio, intense, corpose e piacevoli a leggersi ma soprattutto dal significato complesso. Una lunga tradizione, quella dei festeggiamenti in Dongo a san Francesco d’Assisi, legata certamente alla duratura presenza dei frati francescani, ma radicata anche fortemente nella devozione popolare altolariana. La ricorrenza ci dà perciò l’opportunità di fare qualche semplice riflessione su questo “pilastro” autentico della cristianità. L’ inno alla vita lasciatoci dal Santo, ci restituisce una visione positiva della natura creata, attraverso gli occhi dell’uomo che l’ammira, ed è l’immagine riflessa del suo Creatore: un Creatore buono ha fatto solo cose buone. L’uomo e il creato vivono un senso smisurato di fratellanza: parlare della creazione diventa perciò la lode somma che possiamo rivolgere a Dio. Certo san Francesco affascina perché è stato il santo dei poveri, dei malati, perché seppe vivere con semplicità la Parola di Dio, sempre in profonda armonia con Lui, con gli altri, con la natura. Lui, che era ricco di famiglia, lasciò tutto quello che possedeva perché quello era l’esempio di Cristo. Spesso si è ragionato sulla povertà di san Francesco. Se c’è un aspetto che è bene sottolineare è che lui non l’ha vissuta certamente come privazione, come miseria, ma come scoperta evangelica del “tesoro nascosto”. La sua “Madonna Povertà”, cantata da Dante nel canto XI del Paradiso, è stata la sua sposa, affidata ai suoi fratelli sul letto di morte. Emerge prepotente in lui la volontà di vivere per un bene comune da distribuire con giustizia tra tutti. Nei suoi ultimi
istanti di vita ricordava, ai fratelli che lo assistevano, di aver fatto il suo dovere e che “Cristo vi insegni a fare il vostro”. Certo, in un tempo di povertà spirituale, il messaggio di san Francesco
dell’importanza di una vita giusta, semplice, non ammalorata dalla ricerca dell’inutile, del superficiale, dell’indifferente è quantomai attuale. Nel segno di Cristo, a ognuno di noi è chiesto di fare il proprio dovere, nella vigna del Signore, come ci ricordavano appunto le letture della domenica. Fare la nostra parte significa allora dare senso pieno alle azioni positive, far fruttificare la  nostra vita perché gli sforzi fatti dal “padrone della vigna” non risultino vani. In un’epoca di malattie sconosciute, di difficoltà economiche e sociali, di dolore come quella che viviamo oggi,  particolarmente pregnanti risultano essere le parole del salmo responsoriale: “Guarda dal cielo e vieni e visita questa vigna… facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome”. A san Francesco, a lui che è il nostro Patrono, la preghiera accorata di intercedere per noi , perché torniamo a riconquistare il piacere delle piccole cose e il rispetto per quello che abbiamo gratuitamente con amore ricevuto.
IRMA GRAZIA BARUFFALDI per “Il Settimanale” #38